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Roma 16 Marzo 2021
33 Anni dall'attacco chimico di Halabja

Ricorre oggi il 33° anniversario dell’attacco chimico alla città di Halabja, da parte dell’allora regime guidato da Saddam Hussein.
Halabja, piccolo centro agricolo di circa 70mila abitanti, viene bombardata con un composto di iprite, gas nervino e altri agenti letali. Venne sganciata una bomba ogni venti metri. Per sganciarle furono impiegati cinque Sukhoi sovietici, che volarono a bassa quota sulle case per sei interminabili ore. All’istante le vittime sono calcolate in oltre cinquemila; più avanti si parlerà di dodicimila vittime, ma migliaia sono coloro che subiranno lesioni gravi permanenti.
Gli abitanti non si accorsero immediatamente di quanto tava accadendo: l’attacco fu rapido, concentrato e ben organizzato al punto da non consentire a buona parte della popolazione di mettersi in salvo. Molti vennero ritrovati privi di vita mentre si apprestavano a compiere gesti quotidiani: neonati durante l’allattamento, bambini a passeggio con i genitori, venditori o semplici passanti.
Questo attacco rientrava nell’operazione militare denominata “Operazione Anfal”, che ha portato alla morte tra il 1986 e il 1989 tra le 50.000 e 182.000 persone e che faceva parte di una campagna di “arabizzazione” perpetrata dal Regime di Saddam Hussein e guidata sul campo dal Generale Ali Hassan al-Majid, detto “il Chimico”. Il nome della campagna è stato scelto dall’ottava Sura (Al-Anfal) del Corano.
Furono i mezzi di informazione del vicino Iran a dare inizialmente risalto mediatico alla vicenda, attirando l’attenzione delle maggiori testate internazionali, presto accorse fra le rovine di Halabja per documentare quanto accaduto. Una delle foto scattate, presumibilmente una madre che reggeva in braccio una bambina tenuta stretta, diverrà una scultura, posta sul memoriale eretto in ricordo delle vittime.
Per il processo ai criminali di guerra che misero in atto la carneficina occorrerà attendere um ventennio e Alì il Chimico sarà condannato all’impiccagione nel 2010, insieme ad altri generali del Regime.
Oggi sulle colline di Halabja è stata allestita una “boot-hill” disseminata di lapidi commemorative, disposte in ordine geometrico sui declivi alle spalle della città e riportanti i nomi dei 5 mila che quel giorno persero la vita.
La Svezia, la Norvegia, la Corea del Sud e il Regno Unito hanno ufficialmente riconosciuto come un caso di genocidio l’Anfal.